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NPI test: a cosa serve? Come leggere i suoi risultati?

Se stai leggendo queste righe, significa che vuoi sapere qualcosa di più in merito all’NPI test, scoprire a cosa serve e cosa bisogna fare per leggere al meglio i suoi risultati. Fantastico! Proseguendo nella lettura di questo articolo, potrai scoprire diverse informazioni utili in merito.

NPI test: di cosa si tratta e a cosa serve

Iniziamo dalle basi, spiegando di cosa si parla quando si nomina l’NPI test. Si tratta di una scala molto famosa e utilizzata per valutare i disturbi non cognitivi associati agli stati di demenza. Utilizzata frequentemente in campo neurologico, è stata elaborata per la prima volta nel 1988 da Robert Raskin e Howard Terry. Per concretizzare la sopra citata svolta in campo neurologico, i due esperti si sono basati sui criteri enumerati nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).

Un’altra data importante per questa scala è il 1994. In quell’anno, infatti, Jeffery Cummings ha dato via a una schematizzazione che, oggi come oggi, permette di guardare all’NPI test basandosi su diversi criteri, per la precisione 12. Ecco quali sono:

  • Deliri
  • Allucinazioni
  • Agitazione
  • Depressione
  • Ansia
  • Esaltazione
  • Apatia
  • Mancanza di inibizione
  • Irritabilità
  • Comportamenti motori caratterizzati da aberrazioni
  • Disturbi del sonno
  • Disturbi dell’alimentazione e dell’appetito

Quando si chiama in causa il test NPI, è fondamentale rammentare la possibilità di utilizzarlo non solo per valutare le problematiche psico-comportamentali che fanno la loro comparsa nei soggetti affetti da demenza, ma anche l’impatto che tutto questo ha sui care giver familiari del paziente con deterioramento cognitivo. Nelle prossime righe dell’articolo, approfondiamo questo aspetto, illustrando nel dettaglio i punteggi.

Scala NPI: i punteggi e come leggerli

Quando si parla di NPI test, è possibile parlare, come già detto, dei punteggi. Il primo riferimento da considerare è la frequenza di manifestazione del disturbo. Si parte da un minimo di 0, che indica l’assenza di manifestazioni, per passare a 1, riferimento da associare a una manifestazione dei disturbi rara (meno di una volta a settimana).

Il grado successivo, ossia il 2, è associato al termine “talvolta”. In questo frangente, si indica una frequenza di manifestazione dei disturbi corrispondente ad almeno una volta a settimana. I gradi che troviamo dopo sono contrassegnati con  il numero 3 e il numero 4 e indicano rispettivamente una manifestazione frequente e quasi costante.

Da non dimenticare è poi la presenza della scala della gravità. In questo caso si va da un minimo di 1 (lieve, ossia una manifestazione che non arreca disturbo al paziente), a un massimo di 3, numero associato a una gravità severa e a una situazione in cui è richiesta la somministrazione di farmaci.

Per quanto riguarda invece il nodo dello stress arrecato ai care giver, si ha a che fare con una scala di 5 punti. Si va da un minimo di 0 – livello di stress assente – a un massimo di 5, che indica una situazione di stress grave.

Come si legge il punteggio finale attribuito al singolo criterio? Moltiplicando tra loro i punteggi di frequenza e gravità. Si ha in questo caso a che fare con un intervallo numerico compreso tra 0 e 12. Concludiamo rammentando che più alto è il valore più è grave la situazione del disturbo.

Danila:
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